Arte contemporanea
L’arte contemporanea: per dimenticare gli orrori della guerra.
Con arte contemporanea si intende l’insieme di tutti quei filoni artistici che si sono sviluppati dopo i sei anni della Seconda Guerra Mondiale: sei anni lunghi e dolorosi, conclusisi con le terribili esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki e con un ingente numero di perdite umane civili.
E dopo di quello, niente sarebbe mai più stato come prima: il modo di percepire l’esistenza e di trasmetterne il significato aveva ormai assunto prospettive nuove e con esse nuove forme.
Per queste gravi ragioni tutti i movimenti artisti sorti dopo la Seconda Guerra Mondiale, riuniti generalmente sotto il comun denominatore di “arte contemporanea”, sprigionano, nel complesso, un significato di irrequietezza, di continua ricerca di qualcosa di nuovo, un’insolita ansia di vita: dalla seconda metà del Novecento in poi una quantità di correnti artistiche nasce e muore, si sviluppa e viene dimenticata, si contraddice e si oppone a quanto già visto.
A volte il desiderio è quello di mercificare il prodotto artistico facendo di esso qualcosa di totalmente superficiale; a volte invece si cerca di urlare il dolore che la guerra ha lasciato negli animi e nei cuori nel tentativo spesso vano di rimarginare le proprie ferite. In Italia il Fascismo ha compromesso in modo grave la libera circolazione delle idee e la comunicazione artistica, ma queste due tendenze con la fine del conflitto sono più vive che mai: se da un lato l’astrattismo, il neorealismo sociale e l’arte informale cercano di dimenticarsi totalmente della realtà, dall’altro una serie di correnti quali espressionismo, cubismo, fauves e neoimpressionismo si fanno carico di guardare a quel reale che fa paura perché permeato da ricordi dolorosi e riproporlo in chiave spesso distorta.
L’arte contemporanea muove i primi passi già durante il secondo conflitto mondiale, attraverso quel realismo sociale che vede molti artisti impegnati nella lotta antifascista. Se il realismo ottocentesco era orientato verso una presentazione oggettiva del reale, il realismo sociale italiano della seconda metà dell’ottocento è invece fortemente soggettivo e fortemente politico. Uno dei maggiori esponenti di questo filone artistico è Renato Guttuso, famosissimo per aver dipinto la Fucilazione in campagna nel 1939, un quadro ispirato alla fucilazione del poeta spagnolo Federico Garcia Lorca. Con tutti i suoi quadri Guttuso si scaglia contro l’ingiustizia dei regimi di impronta fascista capaci solamente di esaltare la forza della violenza sulla ragione.
Un altro esponente dell’arte contemporanea italiana è Renato Birolli, anch’egli antifascista militante e noto per aver fondato il movimento artistico “Corrente”. A differenza di Guttuso, egli si pone in polemica col realismo sociale e sceglie di trasfigurare il reale in modo più lirico, con colori più caldi e mediterranei, in uno stile che ricorda vagamente lo stile di Ricasso e del post-cubismo. Sullo stesso filone di ispirazione post-cubista si trovano artisti come Morlotti, Santomaso e Cassinari.
Un altro filone da non trascurare dell’arte contemporanea è il MAC, Movimento per l’Arte Concreta, fondato da Anastasio Soldati, Bruno Munari, Gianni Monnet e Gillo Dorfles, con l’obiettivo di sostenere l’astrattismo in senso stretto, un astrattismo che potremmo definire fine a se stesso in quanto espressione né di un mondo interiore né di uno esteriore. Il Movimento per l’Arte Concreta ebbe tuttavia breve durata, mentre nascevano altri movimenti che avrebbero fatto la storia dell’arte contemporanea. Uno di essi è la Pop Art, movimento sorto in America intorno agli anni ’60 e diffusosi rapidamente in quasi tutto il mondo. La Popular Art si pone l’obiettivo di reinterpretare e riproporre il linguaggio della modernità (si ricordi che nasce proprio negli anni del boom economico) in modo roboante ed amplificato al massimo, ma applicandolo a concetti molto banali e comuni.
È opportuno menzionare anche la Op-art, Optical Art, l’arte digitale e l’iperrealismo movimenti volti ad ingannare il fruitore d’arte distorcendo il reale fino alle estreme conseguenza in un processo di dimostrazione della relatività delle cose e della vita umana.
L’arte negli anni Settanta: varie forme per un’arte “della memoria”
Con l’avvento, negli anni Settanta, dei una serie di correnti artistiche di impronta concettuale, il mercato dell’arte si era indebolito; sembrava quasi, infatti, che le opere di tipo concettuale fossero difficili da “incasellare”, da proporre ai collezionisti ed ai critici e pertanto fossero difficilmente collocabili sul mercato.
Cioè, negli anni Settanta i quadri d’arte contemporanea sembravano avere un valore limitato: sembrava improbabile esporle nei musei o proporle ai collezionisti, anche perché venivano “confezionate” con tecniche innovative, che chiamavano in causa l’uso di mezzi originali e controcorrente, che andavano a mettere in discussione il tradizionale concetto di quadro o di scultura.
Alla fine degli anni Settanta ritorna la necessità di dipingere in modo più tradizionale, non solo per investire su se stessi ma anche per arricchire l’universo culturale. Negli anni Ottanta ormai l’arte Concettuale è al tramonto ma ha lasciato sicuramente le sue tracce nel modo di pensare e di interpretare l’arte: prende avvio così il post-moderno, un filone artistico che darà origine ad una serie di quadri ad orientamento contemporaneo e tradizionalista, il cui obiettivo non è comunicare un senso di rottura o di disagio come accadeva con l’arte Concettuale, ma veicolare un messaggio di tipo estetico.
Dagli anni Ottanta fino alla fine del secolo, quindi, l’arte contemporanea assume forme e volti nuovi ma non eccessivi: la modernità eccessiva è quindi finita, ed è proprio questo il significato della dizione “post-moderno”.
Questo ritorno ad un’arte che potremmo definire del passato implica anche un esame di coscienza, da parte degli artisti, ed una riflessone circa i nuovi contenuti da esprimere. Il risultato è a volte deludente, perché dopo l’esplosione e la tensione dell’arte Concettuale ora sembra improvvisamente che non ci sia più nulla da dire, tutto sembra già detto, già visto, già vissuto. Ecco perché molti quadri d’arte contemporanea “citano” il già detto ed il già visto sia per quanto riguarda le tecniche che per quanto riguarda i contenuti.
La “citazione” diventa strumento di espressione per eccellenza di questo nuovo tipo di arte fatto proprio di un desiderio di ritorno al passato e di un contenuto sempre più scevro di significati rilevanti.
Oltre al concetto di citazione, entra in gioco anche quello di memoria, poiché la storia che si va a citare è anche depositaria di una memoria non indifferente: la citazione non è infatti casuale ma bensì oculata, volta a sottolineare gli aspetti più salienti della storia passata. In questo modo l’arte si trasforma in una composizione di citazioni colte e filtrate dalla memoria: nasce così il vero e proprio “Citazionismo”, ma anche i “Nuovi Nuovi”, la “Transavanguardia” e la cosiddetta “Pittura Colta”, curiosamente uscite alla ribalta tutte assieme nel 1980.
La Biennale di Venezia del 1980 fu pertanto un evento molto interessante e sicuramente segnava una svolta nel panorama artistico internazionale: in quell’anno alla Corderia dell’Arsenale fu allestita la «Via Novissima», mentre ai Magazzini alle Zattere, nell’ambito di Aperto ’80, si tenne la prima mostra della «Transavanguardia», curata da Achille Bonito Oliva. Nello stesso anno a Roma Maurizio Calvesi presentava la «Pittura Colta», detta anche «Anacronismo» o anche «Nuova Maniera», mentre il critico Renato Barilli raggruppava una serie di artisti sotto la comune denominazione di «Nuovi nuovi».
Si tenga presente, infine, che nonostante i nuovi canoni artistici si riferissero ad un ritorno al passato, ad uno sguardo verso la memoria e ad il piacere di “citare” il già visto, ognuna di queste correnti faceva ricorso a questi strumenti interpretativi del fare artistico a suo modo, offrendo risultati del tutto disparati e sicuramente degni d’interesse.